Esportiamo la pace
Sono passati 4 mesi dall’orribile attacco di Hamas a Israele e la presa di ostaggi civili indifesi. Le famiglie vivono ogni giorno l’incubo dell’attesa per il cessate il fuoco e per il ritorno a casa dei loro cari. L’esercito israeliano però non smette di bombardare Gaza distruggendo non solo i cunicoli dei militanti di Hamas, ma tutto: civili indifesi, case, scuole, ospedali, acqua, elettricità, fognature, insomma sta facendo tabula rasa.
Un territorio distrutto e svuotato di ogni passato che per ricostruirlo ci vorranno decenni. A causa delle bombe molti bambini sono diventati sordi o cechi o mutilati, molti orfani e i genitori hanno perso i figli. In definitiva una catastrofe umanitaria si sta compiendo da mesi sotto i nostri occhi senza che ci sia la volontà da parte dei paesi occidentali d’intervenire a livello diplomatico per un cessate il fuoco permanente e per portare aiuto alla popolazione palestinese in nome del diritto umanitario. Anzi, alcuni paesi tra cui il nostro, hanno sospeso i fondi all’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi con l’accusa che alcuni membri dello staff sono coinvolti con Hamas (12 persone su 13’000 impiegati).
La Corte internazionale di giustizia, che purtroppo non ha chiesto un cessate il fuoco immediato, chiede almeno di facilitare l’assistenza umanitaria a Gaza e questo non sarà possibile senza i fondi. Il silenzio della Svizzera, riconosciuta a livello internazionale come partner di fiducia nell’intermediazione tra paesi in conflitto e per la promozione di un dialogo costruttivo tra le parti, mi lascia alquanto perplessa. Putroppo, l’immobilismo diplomatico non paga e di questo passo, la situazione d’instabilità politica mediorientale non farà che peggiorare con il rischio di un conflitto allargato per tutto l’Occidente, basti pensare ai recenti attacchi alle navi mercantili nel Mar Rosso o ai droni che colpiscono le basi americane.
Se vogliamo difendere la nostra neutralità e la pace, dobbiamo essere più attivi a livello diplomatico, così come non si dovrebbe rimettere in discussione la legge sull’esportazione di armi a paesi in conflitto. Non creeremo prosperità futura riesportando armi o non nel silenzio diplomatico, ma esportando idee e proposte concrete affinché ogni paese possa vivere con delle basi durature come il lavoro, l’istruzione, la sanità e la comprensione reciproca che nessuno può vivere senza l’aiuto e la cooperazione dell’altro.
Claudia Cappellini
Lugano