Si è ormai innescata una spirale di violenza destinata a durare. Come risposta al brutale massacro perpetrato dai miliziani di Hamas nel sud di Israele qualche giorno fa, l’esercito israeliano ha ordinato l’assedio totale della Striscia di Gaza: i bombardamenti colpiscono bambini, civili e miliziani indiscriminatamente, mentre i rifornimenti di acqua, elettricità e cibo sono stati bloccati.

Ma l’indignazione alle nostre latitudini è selettiva. Durante la riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU domenica scorsa, la Svizzera, membro non permanente del gremio, ha condannato “gli atti di terrore e il lancio indiscriminato di razzi da parte di Hamas contro Israele”.

Non una parola spesa sull’occupazione israeliana, che sino ad oggi costituisce una violazione flagrante del diritto internazionale. Nel 1993 autorità palestinesi e israeliani firmarono gli accordi di Oslo, che non prevedono soltanto l’impegno, da parte dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, di rinunciare a violenze ed azioni terroristiche, ma anche il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania e il diritto palestinese all’autogoverno. Oggi, complice anche l’occupazione pluridecennale da parte di Israele, la metà della popolazione nella Striscia di Gaza è disoccupata, due terzi vive sotto la linea della povertà. Per Hamas e il suo disgustoso antisemitismo un terreno fertile per reclutare giovani senza prospettive e trasformarli in martiri della resistenza palestinese.

Per coerenza, dunque, il Consiglio federale dovrebbe non soltanto classificare Hamas come organizzazione terroristica, ma usare anche un sinonimo per qualificare l’attuale governo israeliano di estrema destra, che ha incitato l’espansione dei coloni israeliani su suolo palestinese e non ha mai nascosto le ambizioni di annettere l’intera Cisgiordania. 

Io sogno una Svizzera più coraggiosa, animata da una neutralità attiva e solidale, come la definì una ministra degli affari esteri alquanto più visionaria dell’attuale capo della diplomazia elvetica. Sul corto termine occorre fare tutti gli sforzi politici e diplomatici necessari per venire in soccorso alla popolazione civile con aiuti umanitari ed evitare che il conflitto si allarghi a tutta la regione. La Confederazione, additando solo una delle parti in conflitto e perdendo di fatto la credibilità di Stato neutrale, si preclude però la possibilità di dialogare con tutte le parti coinvolte e fungere così da intermediario per un cessate il fuoco. Una soluzione duratura in Medio Oriente, invece, richiede che si dia finalmente una prospettiva anche statuale a chi abita nei territori attualmente occupati. Benché oggi trovi pochi addetti, la soluzione a due Stati, conforme alle risoluzioni dell’ONU, è l’unica prospettiva che permette a lungo termine di fare coesistere la popolazione israeliana e palestinese in pace e sicurezza.

Rocco Vitale