Uscire dal nucleare, salvare il clima garantendo l’approvvigionamento con la svolta solare

La nostra forte dipendenza energetica dall’estero (per il 75%) combinata con l’attuale crisi internazionale legata alla guerra in Ucraina dopo la pandemia mostra chiaramente la nostra vulnerabilità di fronte all’aumento dei prezzi dell’energia (gas, petrolio, elettricità) che sta causando un considerevole aumento dei costi energetici sia per i consumatori che per le aziende.
Per poter soddisfare gli obiettivi di salvaguardia del clima contenuti nell’accordo di Parigi (limitazione al di sotto dei 2 gradi del surriscaldamento globale) è necessario rendersi indipendenti dai combustibili fossili entro il 2040-2050. Questo combinato con l’uscita dal pericoloso e costoso nucleare implica, oltre a massicci investimenti nell’efficienza energetica soprattutto negli edifici, anche la necessità di produrre più corrente elettrica per far fronte ai consumi accresciuti dovuti ad un maggiore impiego delle pompe di calore e per la mobilità elettrica. Inoltre alcuni scenari recenti della Confederazione prevedono la possibilità di momentanei penurie di elettricità in inverno legata soprattutto a difficoltà di importazione in un contesto di mercato elettrico surriscaldato e in assenza di un accordo quadro in campo energetico con l’Europa.
La crisi energetica attuale è una ghiotta occasione per gli irriducibili pifferai dell’energia nucleare che vogliono far rientrare dalla finestra ciò che il popolo in votazione popolare ha buttato fuori dalla porta. I fautori della nuova era nucleare svizzera si guardano però bene di spiegare all’opinione pubblica che il nuovo nucleare non permetterà né di risolvere i possibili problemi di approvvigionamento del prossimo futuro né di affrontare in tempi utili l’uscita dai combustibili fossili e la relativa crisi climatica, senza parlare dei costi.

Il nuovo nucleare arriverebbe tardi, sarebbe troppo costoso e rimane rischioso

Una nuova centrale nucleare in Svizzera potrebbe infatti essere allacciata alla rete al più presto tra 20-25 anni, molto probabilmente non prima del 2047. Questo perché implicherebbe la modifica della legge sull’energia nucleare e l’abolizione del divieto di costruire nuove centrali nucleari, lo sviluppo del progetto e il lancio del referendum cantonale sui siti, lo sviluppo, la presentazione e l’esame di una domanda di licenza generale con successivo referendum popolare, infine il tempo medio di costruzione dei reattori entrati in funzione nel mondo negli ultimi è mediamente di dieci anni.
Il capitolo nucleare si potrebbe quindi chiudere già con queste prime considerazioni, ma per dovere di completezza va aggiunto che anche il nuovo nucleare si porterà dietro almeno parte dei problemi della sua generazione precedente. I tipici problemi di sicurezza (rischio di fuoriuscite radioattive in caso di incidenti) e soprattutto di produzione di scorie radioattive della fissione nucleare non saranno infatti risolti con i nuovi tipi di reattore attualmente disponibili come i reattori di potenza (EPR) e i piccoli reattori modulari (SMR). Senza contare che i costi (anche assicurativi) di un eventuale incidente o dello stoccaggio di scorie per millenni sono e saranno sempre addossati in gran parte alla collettività e non ai gestori.
Per quanto riguarda i reattori EPR i tempi di costruzione e i costi di tutti i reattori attualmente in costruzione sono letteralmente esplosi. Ad esempio i due reattori di Hinkley Point C nel Regno Unito sono in costruzione dal 2016. La messa in funzione è già stata posticipata dal 2025 al 2026-2027 e sono stati annunciati costi aggiuntivi per almeno mezzo miliardo (30 in totale). Lo stato inglese dovrà inoltre garantire ai produttori un prezzo della corrente che sarà ben più alto dei costi di produzione attuali del rinnovabile (eolico o solare). Altri esempi significativi sono la centrale finlandese di Olkiluoto 3, il cui costo era stato preventivato a 3 miliardi di euro, è costata ben 11 miliardi e la sua costruzione si è protratta per ben 17 anni, dal 2005 al 2022, e il reattore EPR di Flamalville-3 in Francia la cui costruzione subirà un ritardo di 11 anni con costi quintuplicati. Rimanendo sui costi Stando al World Nuclear Industry Status Report (WNISR), un rapporto annuale stilato da un gruppo di esperti internazionali indipendenti, nel 2020 produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il solare fotovoltaico è costato in media nel mondo 3,5 euro, con l’eolico 3,79 euro. Produrre lo stesso kilowattora con il nucleare 15,44 euro.
Anche il sogno del piccolo nucleare (SMR) sembra anch’esso svanire di fronte alla realtà. Innanzitutto, è importante ricordare che la capacità dei reattori nucleari è stata aumentata per decenni principalmente per ottenere economie di scala nei costi. Le unità più piccole produrranno quindi elettricità più costosa. Inoltre, nonostante la possibilità di produrre in serie le parti più importanti degli SMR, i tempi di produzione rimangono lunghi. In Francia, gli SMR non entreranno in funzione prima del 2030 o addirittura del 2035.
Costi esorbitanti e tempistiche lunghe che hanno ancora un minimo senso in paesi come la Gran Bretagna o la Francia in cui il nucleare civile è sempre legato a doppio filo al nucleare militare, sono invece poco ragionevoli altrove.
Infine non va dimenticato che il nucleare produce elettricità tramite un principio termoelettrico: in estate, a causa della siccità e delle temperature elevate dei fiumi dovute al surriscaldamento climatico, le centrali nucleari devono spesso essere disattivate per mancanza di capacità di raffreddamento.
Il discorso sul nucleare potrebbe però cambiare con la fusione nucleare.  La fusione nucleare avrebbe teoricamente il vantaggio di non basarsi sulla fissione nucleare, e potrebbe quindi ridurre i problemi di smaltimento delle scorie nucleari e il rischio di utilizzo per scopi militari (proliferazione). Tuttavia, pur considerando anche i progressi scientifici e tecnici recenti, nessun esperto si assume il rischio di prevedere l’inizio dell’uso industriale della fusione nucleare prima del 2040-2050.  Anche questa possibile soluzione non permetterà quindi di garantirci l’approvvigionamento del futuro prossimo e di salvare il clima.

La svolta solare

Non rimane quindi che puntare massicciamente sulle fonti energetiche rinnovabili e sull’efficienza energetica. L’Alleanza per il clima, associazione mantello delle associazioni ambientaliste nel campo della protezione del clima, ha presentato recentemente la sua visione energetica (https://energiewende2035.umweltallianz.ch/it/). Essa ricalca altri scenari energetici presentati negli ultimi anni che si differenziano in genere solo per la percentuale che può essere coperta con misure di efficienza energetica e la relativa necessità di aumentare più o meno intensamente la nuova produzione rinnovabile. Le simulazioni a scala giornaliera di questi scenari dimostrano che possono funzionare durante tutti i periodi dell’anno in particolare anche nei critici mesi invernali.

Il consumo energetico totale della Svizzera può essere ridotto del 41% entro il 2035 rispetto al 2018: l’uso delle pompe di calore per sostituire riscaldamenti elettrici e le fonti fossili, l’efficienza degli edifici meglio isolati, l’uso di apparecchi efficienti e il passaggio al motore elettrico permettono un notevole risparmio. Tuttavia, la domanda di elettricità aumenterà, perché l’elettricità è la fonte principale per sostituire i combustibili fossili. Entro il 2035 dall’attuale livello produttivo di ca. 70 TWh all’anno bisognerà salire a più di 80 TWh all’anno. Il solare fotovoltaico prenderà il posto dell’energia nucleare (21 TWh), che sta per essere eliminata progressivamente (garantendo speriamo la sicurezza degli impianti tra i più vecchi al mondo), e diventerà il tipo di produzione di elettricità più importante. È infatti il complemento ottimale all’elettricità prodotta dall’idroelettrico: l’energia idroelettrica di accumulo può essere utilizzata quando l’energia solare è troppo scarsa o assente e grazie ai sistemi di pompaggio permettere lo stoccaggio di energia fotovoltaica in esubero. Il fotovoltaico ha di gran lunga il maggior potenziale di espansione in Svizzera: circa 82 TWh potrebbero essere prodotti annualmente su edifici (50 TWh tetti, 17 TWh facciate) e infrastrutture esistenti (15 TWh), senza contare il potenziale fotovoltaico in alta montagna. A titolo di confronto nel 2021 la produzione di energia elettrica da fotovoltaico è stata solo di 2.6 TWh (6% della produzione elettrica), ciò che mette la Svizzera agli ultimi posti in Europa nel nuovo rinnovabile e questo nonostante il fatto che il solare fotovoltaico è almeno da 5 anni più che concorrenziale in termini di costi di produzione (si parla attualmente in media in Svizzera di 12 cts/KWh).  Entro il 2035 la produzione deve essere moltiplicata più di dieci volte e raggiungere i 30 TWh annui a cui si aggiungeranno ulteriori 8 TWh da altre fonti rinnovabili.
Per limitare la necessità di importazioni in inverno, le capacità produttive nazionali devono aumentare ad un ritmo doppio rispetto a quello previsto dalle Prospettive energetiche 2050+ della Confederazione. Qui sta il nocciolo politico della questione. Un approvvigionamento sicuro in un contesto di protezione del clima da raggiungere sarà possibile solo nella misura in cui la Svizzera sarà in grado di aumentare molto più velocemente di adesso la produzione di elettricità fotovoltaica (almeno 5 volte più veloce) e di ottimizzare le soluzioni per lo stoccaggio energetico per i mesi invernali, in particolare usando più razionalmente i bacini idroelettrici esistenti e prevedendo anche qualche mirato e condiviso ampliamento (si parla ad esempio in Ticino di un innalzamento della diga del Sambuco). Sarà inoltre fondamentale gestire la rete elettrica intelligentemente soprattutto per quanto riguarda i consumi di apparecchi molto energivori e dei grandi consumatori per evitare dei picchi insostenibili di consumo, come del resto viene già fatto con le pompe di calore o i boiler elettrici disattivati alcune ore al giorno da diverse aziende distributrici.

Le attuali centrali nucleari, pur essendo tra le più vecchie al mondo, potranno funzionare fintanto che la sicurezza sarà garantita. Centrali di grosse dimensioni sono però un rischio per l’approvvigionamento in caso di interruzioni di produzione o manutenzioni urgenti. Un recente studio della Energiestiftung sostiene infatti che l’approvvigionamento energetico svizzero diventerà più resiliente se, invece di continuare ad estendere la vita delle vecchie centrali nucleari, ci si concentrerà su un’espansione accelerata degli impianti fotovoltaici. Ciò è particolarmente vero se l’integrazione nel mercato europeo dell’elettricità non si concretizzerà completamente.
Se la Svizzera sarà in grado di svolgere questo compito non saranno necessarie delle nuove centrali a gas per coprire eventuali puntuali deficit di fornitura elettrica in inverno. Se invece sarà necessario realizzarle bisognerà in ogni caso assicurarsi di utilizzare del gas sintetico prodotto con gli esuberi estivi del fotovoltaico.

La svolta politica

Come è possibile portare a termine una transizione energetica di questa portata? Un elemento sembra più che evidente. La volontarietà di privati e industria non è sufficiente anche se situazioni esterne eccezionali possono aiutare. Basti pensare che la guerra in Ucraina e la relativa impennata dei prezzi energetici con il conseguente boom di richieste per pannelli fotovoltaici (si stima per il 2022 una potenza installata record di 900MW) e pompe di calore, rischiano apparentemente di aver dato, almeno sul corto termine, un impulso alla transizione energetica maggiore della strategia energetica 2050 votata dal popolo, anche se finora, va detto, essa ha raggiunto quasi tutti gli obiettivi (insufficienti) previsti per i suoi primi anni di implementazione. La strategia energetica 2050 rimane valida per quanto riguarda l’uscita dal nucleare ma complessivamente va interpretata per quel compromesso politico che è stata. In particolare per raggiungere gli obiettivi climatici poteva e doveva essere più ambiziosa. Per questo la bocciatura della legge sul CO2 ha causato un importante rallentamento della transizione. Non possiamo però più speculare su un tragico prolungamento della guerra attuale o su altre guerre per avere stimoli sufficienti per la transizione. Con misure volontarie da parte dei singoli individui, si stima che solo il 20% delle emissioni di gas serra potranno essere ridotte. Il rimanente 80% dovrà essere ottenuto con vincolanti misure politiche che permettano a tutti, indipendentemente dal loro reddito, di partecipare alla transizione.
Per quanto riguarda il solare fotovoltaico sono necessarie da subito migliori condizioni quadro. Per garantire gli investimenti, è necessaria una tariffa minima e attrattiva di immissione uniforme e fissa in tutta la Svizzera. È inoltre opportuno prevedere dei contributi variabili per gli impianti fotovoltaici di grandi dimensioni, che coprano la differenza tra il prezzo di mercato e i costi di produzione. Dovrebbero inoltre essere ampliate le possibilità per le comunità di autoconsumo. Per accelerare l’espansione del fotovoltaico, i Cantoni dovrebbero introdurre degli “standard solari” per gli edifici che includano ad esempio l’obbligo di installazione sia sulle costruzioni nuove che su quelle già esistenti (come proposto recentemente dai Verdi del Ticino). Sarà inoltre importante stimolare il mercato del lavoro e il settore formativo nel creare aziende e figure professionali in grado di progettare ed installare gli impianti fotovoltaici necessari. Da non trascurare è anche l’aspetto finanziario: mettere a disposizione delle modalità semplici e sufficienti di incentivo e di prestito per favorire gli investimenti dei privati nel fotovoltaico è fondamentale (l’investimento considerati gli incentivi è già oggi redditizio, tramite dei prestiti agevolati bisogna facilitarne la scelta da parte di tutti proprietari). In questo senso la creazione a livello nazionale di un fondo per il clima, come proposto da Verdi e PS, è molto importante anche per il fotovoltaico. Sarebbe opportuno infine eliminare laddove possibile quelle misure pianificatorie che limitano l’installazione di impianti fotovoltaici (ad esempio in certi nuclei).

Solo la svolta solare ci permetterà di salvare il clima, uscire dal pericoloso e costoso nucleare e garantire l’approvvigionamento energetico. In passato la svolta solare è però sempre stata osteggiata o frenata dalla lobby nucleare legata alla destra UDC/LEGA/PLR/PPD che ci ha portato in questa sfavorevole situazione con solo il 6% di produzione elettrica solare. Non lasciamoci più influenzare dai pifferai del nucleare che sono sempre andati a braccetto con i pifferai del fossile cimentando volenti o nolenti la nostra dipendenza energetica dall’estero e la nostra dannosa impronta sul clima terrestre. È giunta l’ora di abbracciare con convinzione la svolta solare e di realizzarla in tempi utili grazie ad un grande sforzo politico condiviso e la partecipazione individuale di tutti, ognuno secondo le sue possibilità.

Matteo Buzzi, meteorologo e deputato in Gran Consiglio per I VERDI del Ticino