La parità che retrocede
A inizio anno il Consiglio federale (CF) ha presentato le misure per contenere le uscite vincolate. Tra le proposte ve n’è una relativa all’AVS e alle rendite di vedovanza, da cui emerge un nuovo attacco ai diritti delle donne. Invece di promuovere una migliore parità attraverso misure di sostegno alle donne, in particolare alle vedove, è stato deciso di peggiorare la loro condizione.
La misura nasce in seguito a una sentenza del 2022 della Corte europea dei diritti umani, che ha riscontrato una disparità di trattamento inscritta nelle norme svizzere riguardo ai diritti delle vedove rispetto ai vedovi. Il CF prospetta quindi di peggiorare le condizioni delle vedove per parificarle ai vedovi, così che, in futuro, ogni persona potrebbe ricevere la rendita vedovile solo fino a quando figli o figlie a loro carico non avranno compiuto 25 anni. Attualmente invece, soddisfatte certe condizioni, la rendita per vedove si estingue con nuove nozze o con la morte; quella dei vedovi si estingue con nuove nozze, con la morte o quando il figlio o la figlia più giovane compie 18 anni. Una discriminazione che il CF ha deciso sì di correggere, ma sopprimendo parte del diritto alla rendita per le vedove.
Eppure, durante il ricorso alla Corte europea, proprio la Svizzera ha sostenuto che, nel 2020, circa l’87% degli uomini con figli di età inferiore ai 15 anni lavorava a tempo pieno, rispetto al 21% delle donne; il restante 79% delle donne lavorava invece a tempo parziale, di cui circa il 42% con un’occupazione inferiore al 50%. Dalla sentenza si legge che per la Svizzera è perciò “ragionevole supporre che il bisogno di sostegno per i vedovi diminuisca e poi scompaia quando i figli crescono, mentre la necessità di concedere un regime più favorevole alle vedove non scompare (…). L’obiettivo sarebbe quello di compensare la situazione meno favorevole delle donne sul mercato del lavoro e l’ineguale divisione dei compiti domestici che ancora esiste”.
Peccato che anziché porre dei correttivi al mercato del lavoro e a favore di una migliore conciliabilità lavoro-famiglia, il CF abbia deciso per nuove misure a discapito delle donne. Una musica già sentita poco tempo fa, con la riforma dell’AVS21. In nome di una presunta parità e dell’ottenimento dell’equilibrio finanziario del 1° pilastro, le donne devono lavorare un anno in più. Tuttavia, un anno di lavoro in più non equivale a una rendita maggiore, poiché a causa di salari più bassi e a tassi d’occupazione inferiori, oggi le donne ricevono un terzo di pensione in meno rispetto agli uomini. Per ampliare le casse dell’AVS, si sarebbe potuto agire sulle disparità salariali, tenuto conto che, secondo una stima dell’Ufficio federale di statistica, nel 2010 la disparità ha causato per le donne una perdita di guadagno di circa 7,7 miliardi di franchi. Il nuovo sciopero femminista del 14 giugno si rivela pertanto necessario per ricordare che l’eliminazione delle disparità non deve essere fatta a discapito di diritti già acquisiti.
Di Giulia Petralli, Gran consigliera Verdi