Uno degli effetti devastanti della COVID-19 è stato quello sulla salute mentale di tantissime persone. Però purtroppo questa crisi, la peggiore per una generazione, corre in parallelo a una crisi ancora più devastante, la peggiore per tutte le generazioni: la crisi climatica.

Allora mi chiedo, sia per me stessa, sia per altre persone: «Come si può vivere una vita felice, rispettando le risorse limitate della Terra?» Ho trovato spunti interessanti all’esposizione «Global Happiness» di Helvetas che mostra lo stato attuale di un campo di ricerca innovativo: la ricerca della felicità.

Ogni persona percepisce la felicità diversamente, a dipendenza delle esperienze e dell’età, da come ci sentiamo, da dove e con quali norme sociali viviamo e dal senso che diamo alla vita. Però la felicità non dipende solo dalla nostra situazione personale, ma anche dai nostri margini d’azione e da come li utilizziamo. Quindi la felicità dipende sia da aspetti quali la nostra «situazione personale»: lavoro, tempo libero, salute, finanze e filosofia di vita. Ma dipende anche dal nostro «ambiente sociale»: famiglia, amici, partner, rete sociale, fiducia e offerte d’aiuto. L’«ambiente naturale» ha anche un influsso: l’assenza d’inquinamento, la sensazione di vicinanza e l’accesso agli spazi naturali. E non da ultimo, la felicità dipende dalle «istituzioni»: rispetto dei diritti fondamentali, buon funzionamento dello Stato e del sistema sanitario, possibilità di partecipazione politica, assenza di conflitti e protezione della dignità umana.

Gran parte dei Paesi più felici sono anche democratici. Eppure, in questi Paesi consumiamo troppe risorse fomentando la crisi climatica e amputando le basi fondamentali per la felicità nel lungo termine. Allora cosa fare? Potremmo ispirarci all’«Happy Planet Index» (ONU), che determina quanto soddisfatte e sostenibili sono le vite delle persone nei vari Paesi, così potremmo finalmente considerare nei nostri bilanci non solo aspetti economici, ma anche importanti aspetti sociali e ambientali. Potremmo anche ispirarci ai concetti di «Ubuntu» (da filosofie dell’Africa del Sud) – solo attraverso gli altri, l’essere umano diventa essere umano – o di «Hygelig» (dallo stile di vita nordico). Questi concetti rispecchiano il senso di comunità, solidarietà, rispetto e di inclusione.

Lo «Yin e Yang» della Cina significa invece che ogni cosa è complementare al suo opposto, quindi volere sempre più felicità porta altrettanta infelicità. Ma anche volere più ricchezza porta più povertà. Dunque, che dire del denaro, porta felicità? Certo, i soldi permettono di soddisfare importanti esigenze di base. Eppure, la scienza conferma che a partire da un determinato reddito altri fattori entrano in gioco. Una studiosa della felicità afferma: «Anziché alta crescita economica, lo Stato dovrebbe piuttosto combattere la povertà e diminuire le differenze di reddito. Ciò rende le persone più felici». Nel risveglio dalla pandemia, dobbiamo fare tesoro di queste parole.

Riassumendo: la nostra felicità non dipende solo da noi, ma anche da istituzioni credibili, dalle altre persone e da una natura intatta. Sarebbe opportuno riflettere sulla felicità, non solo per essere felici nel corto termine, ma anche per proteggere la dignità umana, i diritti fondamentali, la nostra preziosa Terra e la felicità nel lungo termine. Tutti questi aspetti sono interconnessi e da considerare assieme. Io ho voglia di impegnarmi così e da qui, da Lugano, per renderla più ecologica, più sociale, più giusta e per renderla più felice.

Deborah Meili, candidata per I Verdi al Municipio e al Consiglio comunale di Lugano

Fonte: cdt.ch