di Andrea Stephani, co-coordinatore I Verdi del Mendrisiotto

Un po’ in tutti i Comuni del Distretto, gli utenti dei mezzi pubblici si stanno sollevando contro la riorganizzazione del trasporto su gomma del Mendrisiotto e Basso Ceresio, varata lo scorso 12 dicembre a Chiasso. Premettendo che ogni investimento a favore dell’implementazione della mobilità pubblica va sostenuto ed apprezzato, non si può non rilevare che la strategia alla base del nuovo orario si fonda su una concezione sbagliata e, per certi versi, pericolosa e promuove un modello di società che sta alla radice stessa dei problemi che si vorrebbero invece risolvere.

Nell’informativa inviata a tutti i Comuni alla fine di ottobre dello scorso anno, la Commissione regionale dei trasporti informava le autorità che per la compilazione del nuovo orario “i centri commerciali sono stati scelti come punti nevralgici in cui convergono tutte le linee” e tra le novità presentate spiccavano la “nuova linea urbana che collega i Centri commerciali Serfontana e Breggia direttamente al Fox Town, senza cambio bus, in 20 minuti” e la “linea regionale che collega regolarmente Stabio ai centri commerciali Serfontana e Breggia, nonché Capolago al centro commerciale Fox Town”. Inoltre il centro d’interscambio AutoPostale – AMSA è stato collocato presso le fermate Morbio Inferiore Serfontana e Mobio Inferiore Breggia.

È proprio questo il punto. Prediligere i centri commerciali come luogo di incontro e di socializzazione significa alimentare la nevrosi verso un consumismo sfrenato di prodotti scadenti, promuovere una pianificazione territoriale accentratrice che abbandona le periferie e ridisegna la topografia locale a tutto vantaggio di queste moderne cattedrali dello shopping; significa inoltre condannare al fallimento un’intera categoria di produttori e aziende medio-piccole dislocate sul territorio che non si possono permettere di rivaleggiare con i prezzi degli outlet e con le legioni di cassiere e commessi che compongono l’esercito della “Repubblica del consumatore” (Elizabeth Collins). “Gli outlet, i centri commerciali dove si vendono prodotti di griffe supersontati”, per dirla con le parole di Federico Rampini, sono il “sintomo di dell’ossessione per i saldi, gli sconti, le liquidazioni, i prezzi stracciati, la gara a chi offre sempre di più per sempre meno, una vertiginosa corsa al ribasso. È il capitalismo cheap, nel doppio senso di “poco caro” ma anche “scadente””.

Il modello di società promosso dal capitalismo cheap porta ad un impoverimento a tutti i livelli e non è neppure controbilanciato da un atteggiamento collaborativo da parte delle grandi associazioni economiche. Prova ne sia il referendum contro la tassa di collegamento, lautamente foraggiato dalla grande distribuzione che, proprio in queste settimane, vorrebbe inoltre convincerci a votare anche un’estensione degli orari di apertura dei negozi, sdoganando “il consumo come una sorta di forma di cittadinanza” (Charles McGovern).

Per migliorare la nostra qualità di vita – così come per migliorare il piano dei trasporti pubblici – bisogna prima di tutto rimettere in questione le nostre abitudini e riorientare la nostra visione del mondo. Altrimenti, tra qualche anno non dovremmo più spostarci per raggiungere i centri commerciali ma ci abiteremmo già all’interno.