Com’è noto i Verdi sono l’unico partito a non aver appoggiato, in Consiglio comunale, il messaggio oggetto di questo referendum, né quello precedente – il numero 10472 – votato nel giugno del 2020. La nostra presenza tra i fautori del NO è la naturale conseguenza della nostra posizione critica. Del resto condividiamo pienamente gran parte degli argomenti presentati fin qui. Anche per questo mi limito, per non ripetere cose già dette, a tre brevi osservazioni aggiuntive di carattere più generale.

La prima è legata al mantenimento del vecchio stadio. Se riteniamo importante, per principio, che la proprietà pubblica resti riservata ad attività pubbliche (sociali, culturali, sportive), qui c’è in gioco anche un altro principio, quello della conservazione e valorizzazione di quanto è ancora  funzionale. E questo è un principio importante per i Verdi. Lo stadio di Cornaredo sarà forse inadatto alle esigenze attuali del calcio-spettacolo della Super Ligue, del calcio-finanza, del calcio-azienda, ma certamente è adattissimo al gioco del calcio di squadre minori e giovanili e per gli allenamenti. Ma direi al gioco del calcio in generale. Lo stesso vale per la pista di atletica, ancora idonea allo scopo. E la vecchia tribuna, depurata da quanto le si è costruito addosso, oltre che ancora funzionale è un oggetto architettonico interessante. Il nuovo va costruito in armonia con il vecchio che può ancora svolgere le sue funzioni, non distruggendolo.

La seconda riguarda il senso della misura. Abbiamo ereditato, dalla magniloquente e spendacciona era Giudici, i grandi progetti. A parte l’esercizio di riequilibrio finanziario degli ultimi anni, sembra che da quell’era, pur con qualche esitazione, non si sia mai usciti. Eppure la realtà – economica, sociale, ambientale – è profondamente cambiata, anche se molti sembrano proprio non accorgersene. È tempo di predisporsi saggiamente alla decrescita, per non doverla subire, drammaticamente impreparati, come frutto amaro delle alterazioni climatiche e degli squilibri sociali accentuati dalle politiche neoliberiste. Invece si ragiona sulla città del futuro pianificandola – a pezzi – con i criteri del passato.

La terza riguarda il principio stesso della chiamata alle urne su un progetto di queste dimensioni. Indipendentemente dalla forma di finanziamento scelta – una sorta di leasing trentennale attraverso il “partenariato pubblico-privato” invece di un investimento diretto con il relativo indebitamento – siamo di fronte a un progetto esorbitante dal grande impatto finanziario. Sembra quindi giusto che la popolazione sia chiamata a esprimersi. Eppure a essere irritati da questa legittima richiesta, concretizzatasi con la raccolta delle firme, sono soprattutto quegli ambienti che a livello cantonale un mese fa chiedevano, e in parte hanno ottenuto, il referendum finanziario obbligatorio.

Chiudo con una considerazione sulla campagna in corso: come ogni scelta politica e pianificatoria, anche questa può essere vista con occhi diversi, ma nella campagna c’è una doppia asimmetria. La prima è evidentemente finanziaria, con Golia che ha già tappezzato città e siti web di cartelloni e banner mentre Davide fa quel che può. L’altra è argomentativa: mentre i referendisti cercano di fare un discorso analitico sul progetto, la controparte punta tutto, ingannevolmente, e direi populisticamente, sul «sì allo sport» e sull’inesistenza di un piano B.

Danilo Baratti, portavoce dei Verdi di Lugano

14 ottobre 2021