Un quarto delle donne, una volta terminata l’attività lucrativa, può contare unicamente sul primo pilastro per vivere; il divario pensionistico tra donne e uomini, dovuto al fatto che le prime svolgono più frequentemente lavori a tempo parziale e non retribuiti, si aggira intorno al 40%; un’accettazione del progetto di legge Avs 21 priverebbe le donne (mediamente) di 26’000 franchi di rendita. Tre dati per formulare una conclusione intermedia: la riforma, se venisse accettata, andrebbe a gravare maggiormente sulle donne le cui rendite già oggi non sono sufficienti per vivere degnamente dopo l’età di pensionamento.

Senza contare che l’armonizzazione e la flessibilizzazione dell’età “di riferimento” (“grazie” alla possibilità di percepire delle rendite parziali tra i 63 e i 70 anni) condannerebbero più persone alla disoccupazione e all’assistenza sociale, generando così costi supplementari. Sì, perché questi due strumenti, che secondo i promotori dovrebbero costituire uno strumento per incentivare lavoratrici e lavoratori ad allungare l’attività professionale, non tengono conto di quanto sia difficile per una persona prossima all’età di pensionamento trovare un impiego dopo un periodo di disoccupazione o di inattività.

L’Avs, poi, è veramente messa così male come paventano i promotori? Al momento, il primo pilastro presenta ancora cifre nere; tant’è che gli scenari pessimistici previsti dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali in questi ultimi vent’anni si sono sempre rivelati infondati. A titolo di esempio: l’anno scorso l’Avs ha registrato un un utile di 2,6 miliardi di franchi, superiore di ben tre volte a quanto previsto.

 

Insomma, tutto porta a credere che dietro a questa riforma vi sia un disegno politico preciso, volto a favorire la previdenza e il risparmio privati – proposte simili sono già sui banchi del parlamento – a scapito di un sistema previdenziale forte e solidale, in grado di garantire una redistribuzione dai redditi più alti ai redditi più bassi. Alla luce dell’andamento demografico, nessuno mette in dubbio che prima o poi ci vorrà una riforma, purché non sia ingiusta e inutile. Altrimenti corriamo il rischio di andare ancora di più verso un sistema pensionistico a due livelli; già oggi, la percentuale di prepensionamento varia di molto a seconda delle categorie professionali (il 10-15% degli agricoltori, più della metà nel mondo bancario e assicurativo). Un primo modo per rimpolpare le casse dell’Avs sarebbe invece quello di correggere le disparità (salariali) tra i generi.

 

Rocco Vitale