Mancano ormai poco più di due settimane al 4 marzo, quando la popolazione svizzera sarà chiamata ad esprimersi in merito all’iniziativa “No Billag”. Che un’eventuale SÌ all’iniziativa rappresenterebbe uno scenario nefasto per il panorama mediatico svizzero e un notevole indebolimento per la nostra democrazia diretta, è già stato messo in evidenza – giustamente – più volte. Un aspetto – menzionato qualche settimana fa dallo scrittore svizzero Lukas Bärfuss – invece raramente sollevato, concerne lo sfondo ideologico degli iniziativisti. Per Olivier Kessler e compagni, il nemico numero uno non è la SSR, è lo stato. L’anarchismo libertario in cui fanno fede propugna un’immagine dello stato che – nella sua essenza – è praticamente inesistente, e la cui attività è ridotta al minimo: la tutela della proprietà privata. In quest’ottica, nella quale la libera volontà di ogni singolo cittadino viene postulata come valore supremo, un canone radiotelevisivo obbligatorio è inconcepibile.

È chiaro: il canone ha un carattere coercitivo. Ma non contribuiamo forse anche alla sicurezza nazionale (esercito), allo stato sociale (AVS) e all’istruzione pubblica (scuole dell’obbligo, università) attraverso le imposte? Allo stesso modo, un servizio pubblico indipendente e di qualità, che contribuisca al processo di formazione delle opinioni (di capitale importanza nella democrazia diretta!), che raggiunga tutte le minoranze linguistiche e sociali del nostro paese, che promuova cultura e artisti svizzeri e che tenga conto della diversità nello sport non è gratis.

In gioco c’è dunque di più che “solo” la SSR e le numerose emittenti radiotelevisive private che sparirebbero senza il canone: c’è il concetto di solidarietà, uno dei pilastri fondatori della Svizzera moderna, come la conosciamo e come sussiste dal 1848. Non ci si faccia ingannare dall’apparente dietrofront degli iniziativisti di qualche giorno fa, che non escludevano in caso di SÌ delle sovvenzioni statali per far sussistere la SSR in certi ambiti di attività. Il testo dell’iniziativa è chiaro: mettendo periodicamente all’asta concessioni per la radio e la televisione viene sacrificata un pezzo d’identità svizzera in favore di qualche gruppo mediatico straniero.