Ogni paese si riconosce dalle carceri che possiede, o potremmo dire: Cantone che vai, carceri che trovi…Quest’anno, con la ripresa della possibilità di visitare altre realtà che era stata sospesa dal biennio di pandemia, abbiamo avuto con la Commissione di sorveglianza sulle condizioni di detenzione la possibilità di visitare il carcere femminile di Hindelbank, nel canton Berna. Un carcere di qualche anno più vecchio della nostra Stampa, edificata nel 1968, ma molto ben ristrutturato e mantenuto, con una concezione carceraria un po’ differente da quella alla quale siamo abituati: nel perimetro di Hindelbank esistono diverse case a due piani con un castello al centro e delle reti attorno che quasi scompaiono all’occhio, invece di un palazzo grande, imponente e chiuso. Inoltre, gli e le assistenti sociali sono più numerosi che le guardie carcerarie, che sono in numero limitatissimo, arrivando ad essere solo una o due nel corso della giornata. Le detenute di Hindelbank, con reati che necessitano in molti casi lunghe pene, quindi non certo bagatelle, dormono in celle aperte tutto il giorno, vivono in case comuni con i loro bambini (fino a tre anni), cucinando, lavorando nella stireria, frequentando corsi di varie materie, coltivando l’orto, potendo fare fino a quattordici ore di palestra a settimana e correre liberamente all’interno dei viali del carcere. Mangiano in salette da pranzo ben tenute e decorate, ognuna con un giardino e una fontana esterna e un tavolo da ping pong. Una visita che ha segnato in maniera positiva, credo di poterlo dire, tutte e tutti noi membri della Commissione. Ho avuto l’impressione che in una struttura come quella di Hindelbank sia tenuto in un conto particolarmente alto il fattore educativo e di reimpostazione di vite che avevano preso per svariati fattori delle direzioni sbagliate. Anche se esiste una cella di rigore, non è usata spesso, e i colloqui con assistenti sociali e psicologhe vanno nella direzione di una presa di coscienza e di un reinserimento nella vita fuori dalle maglie della delinquenza di qualsiasi genere. Anche i rapporti umani tra le detenute, aiutate a collaborare nella preparazione dei pasti e nella gestione della vita quotidiana, aiuta sicuramente ad acquisire abitudini nuove e salutari. Sarà un caso, ma le sei detenute che abbiamo ascoltato nei colloqui in questo carcere hanno tutte parlato del futuro fuori dal carcere, per alcune vicino e per altre più lontano, in modo costruttivo e con progetti. Mentre la mia impressione nei colloqui che teniamo mensilmente nel nostro carcere, Stampa e Farera, è che le conversazioni vertano più spesso sul quotidiano, fatto di limiti e di privazioni particolarmente sentite, con pochi appigli verso il futuro. Un quotidiano dove a farla da padrone sono le critiche verso cose in fondo di poco conto, ma che in un regime di stretta mancanza di libertà e di contatti esterni diventano pesanti: il cibo che non sazia mai nel modo giusto, sempre troppo poco (per alcuni, pur essendo nelle giuste quantità), o poco apprezzato perché diverso da quello della vita libera, le piccole o grandi beghe tra prevenuti, i rapporti con le guardie, le regole percepite a volte come ingiuste o non comprese, i malesseri dovuti alla condizione di detenzione, eccetera. Lavorare pensando al futuro, e non limitarsi ad erogare punizioni e a contenere i danni, penso sia importante in ogni ambito, e particolarmente nel campo della carcerazione.

Va poi sottolineato come in tutta la Svizzera, Ticino compreso, è aumentato negli anni il numero delle carcerazioni femminili, per svariati motivi che, se interrogati, ci porterebbero a interessanti riflessioni sulla nostra società. Attualmente, sono 27 le detenute nel nostro Cantone. «Ma un mese fa abbiamo toccato la cifra record di 30 donne incarcerate», ci ha detto il direttore Stefano Laffranchini, che durante i suoi otto anni alla guida delle strutture carcerarie ticinesi ammette di non aver mai raggiunto un numero simile, sommando le persone in espiazione anticipata, quelle in esecuzione di pena e le prevenute. Normalmente si contava una quindicina di detenute al massimo. Ora parliamo di una cifra raddoppiata, e per questo la mancanza di una sezione femminile si fa sentire ancora maggiormente. Spesso assistiamo a reati di droga, una volta quasi esclusivo appannaggio degli uomini, mentre ora riguardano più frequentemente partner o interi circoli famigliari: il 40% della popolazione carceraria in Ticino si trova dietro le sbarre per reati contro la Legge federale sugli stupefacenti. E se calcoliamo i reati indiretti, come le persone tossicodipendenti che compiono un furto per pagarsi le sostanze, arriviamo a toccare il 50%. Tutto ciò, si riflette anche sul numero di detenute. Insomma, anche solo dal profilo penale, gli stupefacenti sono una piaga.

L’apertura di una sezione femminile, quindi, è più che mai di attualità. Ricordo che nel nostro Cantone non esiste più un carcere femminile dal 2007. La sezione alla Stampa che ospitava le detenute è stata chiusa: le donne incarcerate erano poche e gestirle costava troppo. Le prevenute (ossia le donne in detenzione preventiva) e le condannate a una pena breve sono collocate alla Farera. Una struttura nata per essere un carcere giudiziario, nel quale vigono regole dure. Gli uomini, quando il procuratore pubblico promuove l’accusa, passano alla Stampa, dove il regime carcerario è meno pesante, per l’espiazione anticipata della pena. Le donne, invece, in mancanza di una sezione a loro dedicata, sono costrette a rimanere alla Farera, dove restano chiuse in cella per la maggior parte del tempo. Se la pena da scontare è più lunga, superiore a un anno, vengono invece trasferite fuori cantone, nel carcere di Hindelbank (BE) o nella struttura di La Tuilière di Lonay (VD).

Per cercare di risolvere il problema, nell’autunno del 2023 dovrebbe come sappiamo essere aperta una nuova sezione femminile: il progetto prevede complessivamente dodici celle (undici normali e una destinata alle mamme con bambini). Ma nel frattempo, anche le detenute in regime ordinario potranno lavorare. Oltre alla formazione, potranno fare lavori di stireria, e sarà anche attivata una collaborazione con la Swissminiatur, con opere di pittura delle miniaturizzazioni. In questo modo, le detenute potranno rimanere fuori dalle celle per altre quattro ore al giorno. Un primo passo avanti, che salutiamo positivamente, in attesa di una soluzione definitiva, che dovrebbe arrivare tra un anno e mezzo.

Fatte queste considerazioni, porto l’adesione del Gruppo dei Verdi al rapporto di Luca Pagani, che ringrazio per quest’anno di Presidenza unitamente a tutta la Commissione, al segretario Mattia Delorenzi, alla Direzione e al personale delle strutture carcerarie per il buon clima di lavoro.

Claudia Crivelli Barella, giugno 2022