Con la presente mozione si intede proporre uno studio empirico per una settimana lavorativa di 32 ore con salario inalterato rispetto alla settimana di 41 ore (la media svizzera per un tempo pieno è infatti 41 ore e 10 minuti di lavoro settimanale) . Di seguito vengono approfonditi i principali motivi per i quali occorre approvare questa mozione.

Lavorare meno ore previene problemi di salute legati al lavoro

Dall’ultima indagine dello stress percepito sul lavoro in Svizzera (Job Stress Index) è emerso che in media tre lavoratori su dieci (29%) soffrono di stress, con una situazione particolarmente preoccupante nei giovani fra 16 e 24 anni dove il tasso sale al 42% di essi . Una situazione riscontrata anche a livello cantonale dal laboratorio di psicopatologia del lavoro. Intervistata dal quindicinale di critica sociale “Area”, Eleonora Fontana, psicologa e psicoterapeuta si esprime così: “siamo spesso confrontati con utenti che si rivolgono a noi perché particolarmente stressati sul posto di lavoro, anche oltre la soglia del burnout. Spesso oltre ai sintomi ansioso-depressivi, le conseguenze sulla salute si manifestano con dolori cronici, insonnia, difficoltà di concentrazione e memoria. Altre conseguenze possono essere le ripetute assenza dal lavoro per malattia, la perdita di motivazione e interesse”. Ma oltre al lavoro sulla singola persona, di presa a carico a posteriori, per la psicologa è fondamentale lavorare sulla prevenzione: “ecco perché riflessioni come quella di poter ridurre le ore di lavoro settimanale, a parità di stipendio, cominciano a prendere maggiore spazio e ad aprire scenari interessanti.”

Lavorare troppo nuoce anche all’economia e alle aziende

C’è una evidente correlazione tra lo stress e l’orario di lavoro, e lo stress ha dei costi. La SECO sulla base di uno studio del 2003 aveva calcolato costi diretti e indiretti (giornate di malattia, la malattia di lunga durata, ma anche il forte turn over del personale che causano le condizioni di lavoro stressanti, con tutti i costi legati alla ricerca e alla continua formazione di personale) per un totale di 4.2 miliardi di franchi. La Fondazione promozione salute svizzera nello studio sul Job stress index, ha invece calcolato costi complessivi nel 2020 per ca. 7.6 miliardi di franchi. Al contrario, una riduzione dell’orario di lavoro e una più forte attenzione alle condizioni di lavoro delle/dei dipendenti può portare ad importanti benefici per salute e benessere ma anche per la produttività, come è stato rilevato in diversi studi condotti in Islanda, Giappone e Nuova Zelanda .

Favorire la conciliabilità tra lavoro professionale e lavoro di cura, diminuire la disparità di genere

La riduzione dell’orario di lavoro al medesimo salario può favorire, per uomini e donne, la conciliabilità tra il lavoro e le responsabilità di cura e famigliari, e qui si pensa non soltanto alla cura dei figli, ma in una società, quella ticinese, che vede l’età media sempre più alzarsi, sarà sempre più impellente la richiesta di sostegno da parte di genitori anziani. Il ricorso al tempo parziale è una necessità che coinvolge sei donne su dieci, contro 1.8 uomini su dieci, ed esso riflette una necessità di tempo da dedicare al lavoro domestico e di cura. Il tempo parziale per le donne è un fattore di povertà, sia quando sono attive che quando andranno in pensione, d’altro lato in molti settori a prevalenza maschile il tempo pieno non è negoziabile. La riduzione del tempo di lavoro settimanale permetterebbe alle coppie che hanno aspirazioni egualitarie di ripartire più equamente il
lavoro remunerato e il lavoro domestico/di cura.

Questo è quel che emerge anche dal Barometro sull’uguaglianza di genere, che nella sua seconda edizione,
realizzata nell’aprile 2021 dall’istituto gfs.bern, afferma che il 90% degli interrogati ritiene che la parità in
seno alla famiglia non è stata raggiunta. Il problema più sottolineato nell’ambito della disparità di genere è
il carico di lavoro non retribuito. Altro dato importante è che un quarto delle persone intervistate vorrebbe
diminuire il suo tasso d’occupazione, ma è scoraggiata dal contraccolpo economico che ne deriverebbe. Tra
coloro che invece vorrebbero aumentare la percentuale di lavoro vi sono le donne, per l’appunto
“costrette” al lavoro parziale per l’iniqua distribuzione del carico lavorativo all’interno del sistema
famigliare oltre che da un mercato del lavoro ancora fortemente sessista (salari più bassi, meno possibilità
di carriera, ecc.).

Nuove generazioni, cambiamenti sociali e di paradigma

Come si può dedurre leggendo la prima rivendicazione dello “Sciopero per il futuro”, un comitato promosso
da Sciopero per il Clima che raggruppa più di 30 associazioni, partiti e sindacati, sono le nuove generazioni a
chiedere un cambiamento di paradigma, che non deve essere visto come un “privilegio”. Lavorare meno sul
mercato deve portare alla possibilità di liberare tempo per il lavoro non retribuito: quello famigliare da un
lato, ma anche quello a favore della società e degli individui. Ciò può portare ad una società più sostenibile,
non fondata sulla crescita del PIL, ma basata e orientata sulla crescita del benessere sociale.
Certamente vi è anche un aspetto ridistributivo e legato alle nuove tecnologie. La ricchezza prodotta dal
lavoro, anche digitale, non è mai stata così importante nella storia dell’umanità. Una riduzione del tempo di
lavoro a medesimo salario permetterebbe di ridistribuire questa ricchezza a vantaggio della classe dei
lavoratori e delle lavoratrici.
A detta dei giovani vi è inoltre un aspetto ecologico del “lavorare meno”, in un documento programmatico
spiegano come la riduzione del tempo di lavoro settimanale potrebbe portare anche ad una riduzione delle
emissioni. Tratteremo di questo aspetto nel prossimo capitolo.

Lavorare meno per salvare l’ambiente

Come mostrato da una ricerca effettuata da Autonomy (Csala, pp.4-­‐5, 2020) la riduzione della settimana
lavorativa contribuirebbe a migliorare in modo significativo la situazione ambientale. In effetti durante la
settimana lavorativa, quando le imprese funzionano a pieno regime, la domanda di energia è più alta. La
ricerca di Autonmy, mobilizzando anche la legislazione europea, mostra come la riduzione della settimana
lavorativa ridurrebbe l’impatto sull’ambiente. Nell’UE la domanda di energia viene dapprima soddisfatta
utilizzando fonti di energia rinnovabile e solo in un secondo tempo vengono utilizzate anche le fonti di
energia non sostenibile. Durante la settimana la domanda di energia eccede sensibilmente le possibilità
offerte dalle fonti di energia rinnovabile di conseguenza c’è un grande consumo di energia non rinnovabile.
Durante il fine settimana, al contrario, la domanda di energia è più largamente soddisfatta dalle fonti di
energia rinnovabile.

Esempi internazionali e dell’imprenditoria

Il tema qui posto non è certamente una novità nel dibattito sul futuro delle condizioni e dell’organizzazione
del lavoro. Come pocanzi citato, vi sono già nazioni che hanno un orario settimanale ridotto (la Francia),
oppure che hanno approcciato il tema scientificamente e con degli specifici studi, o ancora, come si
propone di fare prossimamente il Governo del Belgio, ridurre l’orario di lavoro settimanale diluito su
massimo 4 giorni.

Vale anche la pena di ricordare che il celebre economista John Maynard Keynes nel lontano 1930
predisse che entro la fine del secolo le capacità tecnologiche avrebbero potuto abbattere a 15 ore la durata
della settimana lavorative (Graeber, 20138 ).
Anche il mondo dell’imprenditoria mostra interesse per questo tema. Numerose sono le iniziative di singole
imprese o gruppi di imprese a livello nazionale o internazionale che testano questo approccio lavorativo,
traendone soddisfazione e profitto.

La proposta nello specifico

Come scritto nell’introduzione, con la presente mozione si intede proporre uno studio empirico per una
settimana lavorativa di 32 ore settimanali con salario al 100% dell’occupazione.
Nello specifico chiediamo che il Consiglio di Stato identifichi all’interno dell’amministrazione pubblica un
numero significativo di dipendenti che possano, previo loro consenso, prestarsi a questa analisi del loro
lavoro alle condizioni sopracitate, che dovrà studiare:

  • Le conseguenze sulla salute, percepita ed oggettiva, dei dipendenti
  • La produttività
  • Le ricadute sulla conciliabilità con il lavoro non retribuito e la conciliabilità lavoro/famiglia
  • Qualora fosse possibile determinare infine l’impatto ambientale della proposta

Si propone altresì di stanziare un credito, da inserire nella Legge per l’innovazione, per stimolare la
partecipazione a questo studio anche da parte di aziende private. Questo con un duplice scopo: il primo di
permettere di avere dati significativi anche in ambito privato, il secondo per stimolare un cambiamento
culturale in seno ad aziende che, stimolate in questa prima fase da un sostegno economico, potrebbero
aderire.

 

Marco Noi (Verdi) e Fabrizio Sirica (PS) primi firmatari.

Cofirmatari

Cristina Gardenghi (Verdi)

Laura Riget (PS)

Natalia Ferrara (PLR)

Matteo Quadranti (PLR)