Nemmeno l’arco alpino, da sempre considerato come baluardo contro le minacce esterne (presunte o tali), può ormai sottrarsi alle conseguenze del surriscaldamento globale. Le regioni di montagna, che in quanto hotspot di biodiversità e servizi ecosistemici giocano un ruolo cruciale nell’adattamento alla crisi climatica, sono particolarmente colpite dall’aumento delle temperature. A cavallo tra il 2021 e il 2022, sul versante sudalpino è stata registrata la stagione invernale più mite e asciutta dal 1864 (anno di inizio delle rilevazioni sistematiche).

Anche quest’anno, la mancanza di una coltre bianca sui pendii pesa come un macigno sui comprensori sciistici: gli impianti di risalita intorno ai 2’000 metri – Prealpi, Giura e Ticino – puntano sempre di più sulla destagionalizzazione e/o fanno ricorso all’innevamento artificiale per coprire i punti critici. Ma la constatazione è brutale e triste per chi, come il sottoscritto, è appassionato di sci alpino: la sua pratica si sposterà a quote sempre più elevate, fino a sparire potenzialmente del tutto. Con ogni probabilità, nei prossimi anni e decenni località come Prato Leventina, il Nara e Airolo subiranno lo stesso destino del Tamaro e di Cardada. Le abbondanti nevicate delle ultime settimane cambiano poco alla sostanza: ad essere determinante, per la sopravvivenza dei comprensori sciistici, non sono le singole punte, ma la continuità.

 La domanda che ne risulta è altrettanto schietta: vogliamo riottenere discese ricche di neve per un periodo transitorio pagando un prezzo economico e ambientale sproporzionato? È indubbio che l’assenza di neve non giova alle regioni di montagna che hanno costruito il proprio successo economico (si consideri p. es. il boom edilizio in alcune località sciistiche) esclusivamente sul turismo invernale di stampo “tradizionale”. È anche vero che i cannoni o le lance, se utilizzati con grande parsimonia, potrebbero costituire in alcune aree una soluzione transitoria. Ma un utilizzo a tappeto dell’innevamento artificiale non è un approccio lungimirante: con le stagioni invernali sempre più miti, i grandi impianti energivori e dal consumo d’acqua molto alto genereranno sempre più costi, che inevitabilmente si ripercuoteranno sul prezzo delle giornaliere/degli abbonamenti, rendendo di fatto la pratica dello sci alpino sempre più appannaggio dei ceti sociali più benestanti. Senza contare che l’efficacia degli impianti dipende dalle temperature: intorno agli zero gradi, l’acqua (che si congela nell’aria) non genera più neve.

Per fortuna, le alternative per mantenere o addirittura aumentare l’attrattività di queste aree per la popolazione residente (e futura!) e chi vuole fruire dei paesaggi pittoreschi che ci circondano esistono. A patto che abbiamo il coraggio di abbandonare il mantra della necessaria espansione della produzione e del consumo, che per decenni ha alimentato un modello di sviluppo illusorio e portato al collasso i sistemi ambientali da cui dipendiamo, per abbracciare infine una nuova visione, che ponga al centro dell’attenzione politica la nozione di “abitabilità” del territorio e del Pianeta. Un turismo sostenibile e dolce, inteso come sintesi tra addetti alla protezione dell’ambiente e operatori turistici, che riesca a conciliarsi con una natura il quanto più intatta e biodiversa possibile e promuovere catene del valore regionali, può essere uno dei tasselli di questa visione: edificante in tal senso è  il progetto SpeciAlps, portato avanti da una rete transfrontaliera di comuni alpini (“Alleanza nella Alpi”) e che si propone di sensibilizzare le persone alla tutela dei paesaggi (p. es. trasformando delle aree verdi in biotopi) e sviluppare misure per la gestione dei flussi turistici (creando p. es. dei sentieri tematici). Un modello di sviluppo così definito permette non solo di mettere in evidenza la ricchezza naturalistica nello spazio alpino, ma anche di aumentare la resilienza socio-ecologica (ed economica) e il rilancio demografico di queste aree.

Il controprogetto indiretto all’iniziativa per i ghiacciai, l’iniziativa per il fondo per il clima promosso da Socialisti e Verdi così come l’iniziativa per la responsabilità ambientale sono altre espressioni concrete dell’ecologia politica. Alle generazioni giovani (fermo restando che lo sforzo deve essere collettivo), che saranno più colpite dagli eventi meteorologici estremi associati alla crisi climatica, la sfida di espandere la sensibilità politica alle condizioni necessarie alla vita sulla Terra, per garantire infine alle e ai suoi inquilini di prosperare all’interno dei suoi limiti planetari.

Rocco Vitale, Candidato nr89