Un calcio ai diritti umani – Noemi Buzzi
Nei 12 anni trascorsi da quando il Qatar si è aggiudicato uno dei più grandi eventi sportivi al mondo, Doha è stata completamente trasformata: le infrastrutture costruite in preparazione al torneo hanno rimodellato profondamente il paesaggio urbano. Sono l’eredità del sudore e della fatica di un esercito di lavoratrici e lavoratori migranti, reclutati principalmente da Paesi del Sud-est asiatico e dell’Africa centrale. Persone assunte per costruire o fornire servizi per progetti legati alla Coppa del Mondo che sono state sistematicamente sfruttate, sottopagate e sottoposte a numerosi abusi, incorrendo in alcuni casi anche alla morte. Anche in passato diverse edizioni del campionato mondiale di calcio maschile si sono svolte nell’ombra del totalitarismo, assegnate sulla base di premesse moralmente discutibili e poco etiche. Lo sport diventa così un mezzo per Stati che non hanno alcun riguardo per i diritti umani per fare ‘sportwashing’ un termine coniato per descrivere gli sforzi di governi repressivi, che utilizzano prestigiosi eventi agonistici per migliorare ed accrescere la propria reputazione internazionale. In Qatar le autorità soffocano la libertà di espressione, di stampa e di associazione mentre le leggi discriminano donne e persone LGBTQIA+. Nella scelta tra diritti umani e profitto ci si è chiaramente allineati a favore di quest’ultimo, dimostrando come il benessere delle persone sia secondario a cinici calcoli di lucro. Succede così che si spendano 220 bilioni di dollari per un torneo della durata di un mese, il cui impatto ambientale è stimato a circa 5 megatonellate di CO2 (equivalente a quanto consumato dell’Uruguay nel 2019) in un Paese dove il mix energetico si basa prevalentemente su fonti fossili e la cui ricchezza è dovuta all’esportazione di gas naturale. Nessuno svolgimento di competizioni sportive con tale seguito mondiale è legittimo in queste condizioni, in una società (globalizzata) che se ne infischia delle persone e dell’ambiente. Tornando alle nostre latitudini, in un momento dove la popolazione è caldamente invitata a ridurre il proprio consumo energetico, l’installazione di grandi schermi su suolo pubblico in diverse città del Ticino invia il messaggio sbagliato. Non possiamo guardare con innocenza questi mondiali di calcio maschile: qualsiasi cosa accadrà nelle prossime settimane non potrà mai mitigare l’enorme costo di questo evento, dove lo spettacolo ha prevalso su tutto. Sono stati sì messi in risalto diversi problemi legati all’abuso e allo sfruttamento della forza lavoro, all’impatto ambientale di grandi eventi e in generale sui diritti umani, ma si può evidenziare tali questioni anche senza lucrarci e sicuramente senza visioni pubbliche su maxi-schermo. Già di partenza andrebbero imposte ai paesi ospitanti condizioni rigorose, dato che i diritti umani sono universali e vanno applicati ovunque. Tutte le persone hanno diritto ad un esistenza libera dalla paura, dalla violenza e dalla discriminazione. Sempre.