L’iniziativa “Per cure sociosanitarie e prestazioni socioeducative di qualità” è un’occasione importante per migliorare le condizioni di lavoro del personale attivo nel settore delle cure e delle prestazioni, garantendo al contempo servizi adeguati ai bisogni di pazienti e utenti.

Promossa dal Sindacato VPOD e sostenuta da quasi 8.000 firme, l’iniziativa nasce da una mobilitazione concreta e sentita, sia dagli operatori del settore che dai cittadini. Il suo obiettivo è chiaro: introdurre una legge quadro che stabilisca regole comuni per il funzionamento e il finanziamento delle strutture, assicurando condizioni di lavoro dignitose e cure e prestazioni di qualità.

Raggiungere questo obiettivo significa intervenire su più livelli. Un settore così complesso, distinto dalla vicinanza costante con la malattia e la morte, dal lavoro notturno, nei fine settimana e nei giorni festivi, e dalle difficoltà nel conciliare vita professionale e familiare, richiede tutele adeguate al personale. Salvaguardare chi opera in questo ambito significa anche preservare la passione e il senso di missione che spinge molte persone a dedicarsi a questa professione.

Eppure, è proprio chi lavora nel settore a non soffermarsi solo sulle proprie condizioni di lavoro, ma a chiedere la garanzia di poter svolgere il proprio incarico con la massima qualità. L’iniziativa, quindi, integra anche strumenti di controllo e garanzie per la qualità dei servizi erogati a pazienti e utenti. Si chiede per esempio di creare organi di mediazione per pazienti, utenti e personale. La mediazione è infatti una pratica consolidata in molti Cantoni, ma non in Ticino. Questo meccanismo garantisce di affrontare in modo efficace e accessibile le controversie in ambito di cure, rafforzando il concetto dell’ascolto tanto prezioso per i pazienti e i loro famigliari.

L’iniziativa si articola quindi su cinque richieste fondamentali, quali la Definizione di condizioni lavorative minime per l’intero settore, la Codificazione dei diritti di pazienti e utenti, la Valutazione indipendente della qualità delle strutture, l’istituzione di organi di mediazione per pazienti, utenti e personale, e la Creazione di una commissione parlamentare di controllo sul settore.

Peccato però che nel suo messaggio, il Consiglio di Stato invita a respinge l’iniziativa sostenendo che una legge quadro non è lo strumento adeguato, e che le condizioni di lavoro sono già regolamentate da norme cantonali e federali. Alla stessa conclusione giunge anche la maggioranza commissionale con il suo rapporto. Rapporto che, nello sviluppare le sue argomentazioni limitate all’ambito lavorativo, non si confronta mai con lo scopo principale dell’iniziativa, ovvero la necessità di migliorare le condizioni di lavoro del personale, rendere più attrattive le professioni riducendo al contempo l’emorragia di personale curante e garantire la qualità dei servizi a utenti e pazienti.

Il rapporto di maggioranza contesta, per esempio, l’iniziativa appellandosi alle reti integrate. Il ragionamento sembrerebbe essere che un maggior coordinamento delle cure e una maggiore efficacia nell’uso delle risorse, si tradurrebbe in una minore pressione sulle strutture sanitarie. Questo potrebbe essere vero se non che, con l’attuale sistema di finanziamento, una riduzione dell’utenza minima comporta un’elevata riduzione anche del coefficiente di personale e quindi di un ulteriore peggioramento delle qualità delle cure. Questo argomento non è pertanto pertinente rispetto allo scopo dell’iniziativa.

Si fa poi appello a vari esempi, nel tentativo di dimostrare come vi siano già azioni mirate che rendano inutile l’iniziativa. Il primo esempio, richiamato anche dal Consiglio di Stato, riguarda PRO SAN. Siamo tutti d’accordo nell’affermare che il Consiglio di Stato ha sviluppato in questo senso un buon progetto. La misura però non è sufficiente. Incrementare il personale sociosanitario favorendo le condizioni formative non farà altro che aumentare le entrate di giovani lavoratori, che poi usciranno dal settore per lo sfinimento dovuto a condizioni quadro insufficienti. PRO SAN ha bisogno di ulteriori strumenti che consentano di trattenere il personale formato; esattamente come quelli richiesti dall’iniziativa.

Si fa poi appello al tema del contenimento delle spese citando la moratoria entrata in vigore nel dicembre 2024. Sembrerebbe che, grazie a questa misura, si potrà frenare l’emorragia di personale che si sposta dai settori stazionari a quelli delle cure a domicilio. Emorragia che di fatto avviene anche perché le condizioni di lavoro nelle strutture sono diventate… indovinate? …Insostenibili. È in questo senso che per ridurre le uscite di personale dal settore si deve in primis mettere il personale stesso nella condizione di lavorare bene. In altre parole, come chiede l’iniziativa, bisogna fissare migliori condizioni quadro sia per i lavoratori che per i pazienti. La moratoria, al massimo, causerà ulteriori perdite di professionisti, essendo che coloro che non riusciranno più ad operare in certe strutture, non potranno nemmeno più scegliere di lavorare a domicilio.

Il rapporto della maggioranza cita poi il tavolo di lavoro sulla nuova Governance nel settore delle cure a domicilio. Tavolo, che per quanto ci è dato sapere, sta operando principalmente allo scopo di trovare dei compromessi tra settore pubblico e privato per razionalizzare i costi. L’obiettivo non è dunque quello di migliorare le condizioni di lavoro o di codificare i diritti dei pazienti. Anche perché, se così fosse, il partenariato sociale, più volte citato anche dal CdS, non sarebbe stato mortificato con l’esclusione dalla discussione dei sindacati firmatari dei ccl. Preme quindi evidenziare che il partenariato sociale ha sempre dimostrato la sua efficacia, ma non sempre è facile per i sindacati promuovere questa via.

Due parole, poi, in merito all’iniziativa popolare “Per cure infermieristiche forti”. Sebbene la seconda tappa della sua attuazione abbia condotto alla stesura di un avamprogetto di legge federale, quest’ultimo non tiene in considerazione le professioni socioeducative. Educatori e vegliatori, già oggi, a livello legale sono esclusi dal campo di applicazione della legge sul lavoro e non si vedono quindi riconosciuto il massimale di tempo di lavoro previsto dalla legge, non hanno diritto al riconoscimento del tempo di lavoro per i picchetti effettuati sul posto di lavoro, non soggiacciono alla legislazione inerente alle pause e ai riposi giornalieri e settimanali. Pertanto, un’eventuale introduzione di una legge federale e/o di un contratto collettivo nazionale – come previsto dall’iniziativa federale – non coprirà il settore socioeducativo, il quale rimarrà privo di una regolamentazione quadro che codifichi i minimi di legge. L’iniziativa cantonale, prevede invece che il suo campo di applicazione sia esteso anche a questo settore, colmando un’evidente lacuna.

Oltre a ciò, la legge quadro dell’iniziativa cantonale definisce principi comuni, esattamente come accade a livello federale per le condizioni di lavoro nelle cure infermieristiche. Se si esamina infatti la nuova Legge federale, non si può rimproverare al quadro di legge cantonale di andare troppo nel dettaglio. L’avamprogetto federale definisce per ben dieci ambiti delle disposizioni concernenti le condizioni di lavoro. Le problematiche trattate nella nuova Legge sulle cure infermieristiche sono pertanto analoghe a quelle della legge quadro ticinese, con la differenza che le soluzioni del progetto federale sono, da un lato, limitate al personale sanitario e, dall’altro, sostanzialmente arretrate rispetto alle condizioni oggi vigenti in Ticino e in altri Cantoni. L’avamprogetto non indica nemmeno come migliorare i finanziamenti per garantire la presenza di sufficiente personale e non dà indicazioni sulla dotazione adeguata di personale. 

Nonostante, quindi, l’imponente si del Ticino a favore di cure infermieristiche forti, la recente proposta del Consiglio federale si è rivelata insufficiente e priva di misure concrete per affrontare la crisi del settore. L’iniziativa cantonale traduce invece questa volontà nel concreto.

Infine, senza voler risultare ripetitiva, desidero ricordare quanto accadde nel nostro Cantone durante il covid e le promesse fatte dalla politica al personale curante, ovvero impegnarsi per garantire loro dignità professionale. Inoltre, vorrei richiamare l’attenzione sulle attuali condizioni demografiche del Ticino, segnato da uno dei tassi di invecchiamento più elevati. È quindi evidente che il nostro Cantone deve essere un precursore nel promuovere la sostenibilità del settore sociosanitario e socioeducativo e assicurare standar minimi di qualità nelle cure destinate ai cittadini.

In conclusione, è chiaro che il nostro sistema non soddisfa ancora gli obiettivi dell’iniziativa e che mancano strumenti adeguati a garantire a chi opera nel settore di farlo in modo dignitoso e a chi necessita di cure di vedersi garantita la massima qualità anche sul lungo termine. Non disponiamo, nemmeno ancora, di meccanismi di controllo adeguati, o di metiatori pronti ad ascoltare le soffernze di pazienti e famigliari.

Quel che è certo è che questi settori professionali sono sottoposti a una pressione crescente che comporta la continua riduzione della qualità dell’assistenza erogata. È proprio per questo che servono condizioni quadro chiare e migliorative, come quelle proposte oggi dall’iniziativa, che vi invito a sostenre.