Il salario minimo funziona!
Dalla nostra iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino!” approvata alle urne nel 2015, la legge è diventata realtà a gennaio del 2021. L’impatto è indubbio: vi è un aumento del 36% dei salari, con effetti anche sulle fasce lontane dalla soglia, e senza effetti negativi sull’economia!
L’ultima forchetta tra 20.00 e 20.50 franchi all’ora, in futuro adeguata al rincaro, è un traguardo importante! Non esaurisce però i margini di manovra concessi ai Cantoni per emanare salari minimi come misura di politica sociale. Spingere verso un salario minimo economico permetterebbe di lottare contro il dumping salariale e risolvere alla radice povertà e assistenzialismo!
Intervento Samantha Bourgoin sull’introduzione dell’ultimo scatto del Salario Minimo
Presidente, vice presidenti, Consigliere di Stato, colleghe e colleghi,
Per adottare il salario minimo si è passati attraverso l’iniziativa dei verdi, acettata in voto popolare, e i timori espressi dai contrari nell’elaborzione della legge erano i più svariati:
- effetti nefasti sui salari in Ticino
- effetti di sostituzione della manodopera residenza
- effetti sull’economia
- sull’occupazione giovanile
Ricordiamo che i Cantoni possono prevedere salari minimi allo scopo di combattere la povertà. (Il nuovo articolo 13 capoverso 2 [recte: 3] Cost./TI affida appunto tale compito alConsiglio di Stato.)
Questo è stato confermato in modo particolare con la sentenza del tribunale federale dell’11 novembre 2021 che si è rifatta alle esperienze di Neuchâtel e Ginevra.
Si tratta quindi di importi minimi. Per questa ragione, Greta Gysin, aveva poi chiesto a livello federale con la Mozione: “Più competenze ai cantoni nella lotta al dumping salariale”, la possibilità di andare oltre, vale a dire di proporre un salario economico. Purtroppo al momento i Cantoni hanno la competenza di emanare unicamente salari minimi come misura di lotta contro la povertà e il suo importo corrisponde al reddito minimo risultante dal sistema dell’assicurazione o dell’assistenza sociale.
Comunemente si accetta il principio che lo Stato cerchi di correggere o prevenire una distribuzione del reddito da lavoro troppo iniqua. Nel primo caso si lascia il mercato operare più o meno liberamente, a seconda della sensibilità del paese, ma poi si agisce attraverso la fiscalità (progressiva) e la ridistribuzione, correggendo il risultato prodotto dal mercato rendendolo più equo.
Non ci sembra una soluzione ottimale. In effetti, la sua adozione risulta costosa e distorsiva. Si pensi all’assistenza sociale quando è chiamata a colmare la differenza tra il reddito corrisposto sul mercato del lavoro e il reddito indispensabile per coprire i bisogni necessari per vivere una vita dignitosa. Una sorta di sussidio indiretto alle imprese.
Infatti, oltre ad essere una soluzione onerosa dal punto di vista amministrativo, perché implica controlli e verifiche costanti, essa, contribuendo a integrare i bassi salari con risorse pubbliche, determina di fatto una distorsione del mercato a favore delle aziende che versano salari fissati sotto la soglia di povertà.
Ecco allora la proposta di agire preventivamente sui salari, segnatamente attraverso il sostegno alle contrattazioni collettive e l’imposizione di un salario minimo.
Questa soluzione non è ritenuta soddisfacente da altri, perché ritengono avrebbe effetti negativi sulle prospettive occupazionali dei lavoratori a basso salario. Per fortuna lo studio dell’IRE dice il contrario. Nella sua analisi del giugno 2024, l’Istituto ricerche economiche ha riscontrato che la Legge sul salario minimo – approvata nel 2015 ed entrata in vigore nel 2021 – ha avuto un “impatto positivo e statisticamente significativo sui redditi nei settori del secondario e in particolare per alcune attività della manifattura”, con un aumento medio del 3,4% nel 2022. Con questo incremento “Nell’insieme – secondo il rapporto – si può concludere che la Legge sul salario minimo ha portato a un aumento dei redditi”. Un risultato che “non dovrebbe sorprendere, in quanto questa categoria di lavoratori era sovra-rappresentata nella fascia salariale inferiore al salario minimo”. Ma quello che è interessante sottolineare, è che, al netto di questa conclusione, nella sua analisi l’IRE non ha rilevato un impatto statisticamente significativo sul numero totale di occupati e sulle imprese, così come sulla probabilità di rimanere occupati, inclusa quella dei giovani. “Il complesso dei risultati – recita il rapporto – non indica la presenza di effetti di sostituzione dovuti all’introduzione del salario minimo”.
Tutto bene quindi! Ringraziamo per le parole di apprezzamento dei vari schieramenti verso l’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino” la cui prima promotrice nel 2013 era Greta Gysin.
Sebbene prima della sua entrata in vigore i timori e i contrari fossero numerosi, le preoccupazioni in seguito alla sua introduzione sono state stemperate.
Oggi lo abbiamo sentito anche qui, tra le fila di chi era contrario e invece sosterrà l’entrata in vigore della terza e ultima forchetta, che sarà poi sottoposta all’adeguamento al rincaro.
Proprio in considerazione della natura sociale del salario minimo come lotta alla povertà avremmo preferito un rincaro completo già nelle forchette di avvicinamento, siamo coscienti dell’importanza del traguardo raggiunto: un punto di partenza sotto il quale non si può più andare e che costituisce un punto di riferimento anche per i sindacati nelle contrattazioni collettive.
Grazie per l’attenzione