La revisione del Codice penale sui reati sessuali, al vaglio delle Camere federali, è quanto mai necessaria: la legge attuale non tutela a sufficienza le vittime, non considera le reali dinamiche delle aggressioni sessuali né le conoscenze scientifiche odierne della criminologia e della psicologia.

Sul principio sembrano essere (finalmente!) tutte e tutti d’accordo: imporre un atto sessuale, deve essere considerato un reato. Ma come definire il consenso?

Da un lato, la commissione preparatoria degli Stati parte dal presupposto di una decisione libera tra persone adulte in condizione di parità, e ritiene necessario che la vittima abbia manifestato la propria opposizione, non rispettata dall’abusante che ha poi imposto un rapporto sessuale. È il «no significa no».

Ma chi lavora con vittime e le conoscenze ampiamente riconosciute all’estero come dagli stessi tribunali svizzeri, ribadiscono che gli stupri sono dinamiche ben diverse da una sessualità sana. Prevalgono la paura e il condizionamento psichico; e nella maggior parte degli abusi, chi subisce risponde inconsciamente al trauma come ad uno shock, entrando in uno stato di paralisi e distanziamento psichico e fisico (il cosiddetto “freezing”). È un meccanismo di difesa, non controllabile, che rende la vittima incapace di difendersi e di manifestare il proprio rifiuto. Molte vittime riferiscono anche di non aver osato opporre resistenza per paura di fomentare la violenza dell’abusante.

Perciò il «no è no» non basta. Se la vittima non ha avuto la possibilità di opporsi, neanche a parole, rimane di fatto una vittima. Che non si sia difesa, non abbia detto chiaramente “no”, non sia scappata, e non abbia lottato, non significa che fosse consenziente: significa piuttosto che, oggettivamente, non ha potuto farlo.

Il timore che aumentino le denunce mendaci è smentito dall’esperienza dei tanti Stati europei che, come la Svizzera, hanno adottato la Convenzione di Istanbul e hanno già introdotto il principio del consenso che essa richiede anche a noi (attualmente sono già tredici Paesi): tribunali e magistrature stanno già applicando questo paradigma con risultati molto positivi. Va precisato che l’onere della prova non verrà spostato e prevarrà sempre la presunzione di innocenza: in mancanza di elementi certi, continuerà a imporsi l’assoluzione.

Denunciare reati sessuali è e resterà logorante. Spiegare, rivivere, giustificare ogni gesto e reazione, costa fatica e sofferenza alle vittime. È uno dei motivi per cui solo l’8% delle donne che ha già subito reati sessuali (e sarebbero 800.000 in Svizzera, oltre a chissà quanti uomini) ha sporto denuncia. Sono i risultati sconcertanti di uno studio del gfs di Berna, confermati dalle autorità federali.

È una realtà triste, che abbiamo il dovere di sradicare. Modificare il codice penale è indispensabile perché – finalmente – non si metta più sotto accusa la vittima per non aver potuto difendersi, ma si fermino e si condannino gli aggressori. In questo senso, il «sì è sì» è l’unica via percorribile.

Firma la petizione 

Greta Gysin – Consigliera nazionale